LiNEA COLORE SUPERFICIE
Non a caso ho voluto parafrasare il titolo del celebre saggio di Wassily Kandinsky pubblicato nel 1925. Dopo novant’anni quella definizione è quanto mai attuale per introdurre la genesi e un’analisi dell’opera di Dario Zaffaroni, legnanese classe 1943.
La sua formazione proviene dall’Industrial Design, l’approccio all’arte che ne consegue lo porta alla frequentazione e all’approfondimento di quella generazione che dai primi anni ’60 studia e sperimenta nuovi linguaggi di comunicazione attraverso l’uso di materiali usualmente non consacrati all’arte e che allontanano questi nuovi coraggiosi pionieri dai percorsi della pittura classica come fin allora era concepita. Certo usufruiscono costoro degli studi e delle sperimentazioni, come sempre è stato nel progresso scientifico e culturale di chi li ha preceduti e in un certo qual modo instradati. L’esperienza della Bauhaus segna un’ideale frontiera oltre la quale nascono e prosperano ricerche artistiche neppure strettamente legate ai dettami della scuola di Weimar prima e Dessau poi. Nasce la volontà di andare oltre, di studiare non solo la rappresentazione ma il colore come forma pura d’arte. Da qui la luce e il movimento, l’arte come espressione ottica e cinetica della percezione. Bauhaus, De Stijl attraverso la lezione di Paul Klee, di Wassily Kandinsky, Josef Albers e Laszlo Moholy-Nagy fino ai padri della Op Art Victor Vasarely e Jesus Rafael Soto.
In Italia, negli anni ’60 il giovanissimo Zaffaroni frequenta le avanguardie estreme rappresentate da Dadamaino, cui lo lega un’affinità elettiva, a Gianni Colombo, a Grazia Varisco, a Mario Nigro, a Jorrit Tornquist, solo per citarne alcuni. E fa tesoro dei loro studi avviandosi su quello che fondamentalmente è stato l’indirizzo precipuo della sua ricerca, la ricerca del colore e attraverso la sua percezione il senso ottico e cinetico che ne consegue. Sensibile allo spirito che permea quel fecondo periodo, stringe un profondo sodalizio spirituale con Dadamaino che assiste fino a diventarne cofirmatario in importanti progetti quali “Campo Urbano” a Como il 21 settembre 1969 quando, la sera, vengono disposte sulle acque antistanti la città, presso il molo, circa mille piastrelle galleggianti fosforescenti per una performance artistica che sarà immortalata e consegnata alla storia da Ugo Mulas. O come, l’anno successivo, su invito del Centre National d’Art Contemporain di Parigi la partecipazione al concorso per la decorazione temporanea di Place du Châtelet con 20 “Environment lumino-cinetique” dove arrivarono secondi dietro al progetto di Christo. La stessa ricerca e studio scientifico dei colori e delle loro combinazioni fu certamente influenzata dalla straordinaria opera di Dadamaino realizzata nel 1966 e denominata “La ricerca del colore”, cento tavole di cm 20x20 dove le combinazioni dei colori venivano matematicamente assemblate a formare un’installazione quadrata conservata ora nella sua interezza nei depositi del Mart di Rovereto. Anche da queste esperienze la ricerca di Zaffaroni si indirizza definitivamente agli studi sulla percezione cromatica e cinetica ove la geometria delle linee e la variazione della superficie crea suggestioni ricettive-ondulatorie negli organi visivi di chi si avvicina, percepisce, si muove, vicino e attraverso l’opera fondendosi in un unicum con essa.
Scrive Jhoannes Itten nel 1961 nel più importante saggio sul colore “Arte del colore”: “[…] chi vuole esercitarsi nello studio dei colori, dopo aver eseguito alcuni esercizi sui colori primi, può passare a libere combinazioni di colori, ricavati a piacere dalla natura, da capolavori d’arte e da qualsiasi manufatto artistico, in modo da affinare sempre più la propria percezione e controllarla mediante una resa esatta. Come nei processi più delicati di fabbricazione cessa, ad un dato punto, il soccorso delle regole e della ragione e interviene l’intuito dell’individuo, senza cui sarebbe impossibile giungere ai risultati voluti, così le combinazioni e gli accostamenti di colore artisticamente significativi sono realizzabili solo col sussidio di una sensibilità cromatica. In generale la sensibilità al colore è un fatto personale, connesso al gusto soggettivo. […]”. Il che ci conduce al fattore umano, non solo di chi recepisce, ma anche e soprattutto di chi crea, di chi forma e realizza. Dunque non solo mero esercizio scientifico-stilistico ma autentico intervento artistico-pittorico non nel senso delle canoniche tavolozza/tubetti/tela ma nella costruzione di una immagine per una percezione visuale dello spazio e delle vibrazioni cromatiche che il colore induce.